Roma, 10 ott. – In occasione della Giornata mondiale della salute mentale, oggi 10 ottobre è stata diffusa un’indagine condotta da Ipsos per Amref. Dal Sud Sudan – dove si registra il quarto tasso di suicidi più elevato del continente – al ruolo che i conflitti, i disastri naturali e le crisi umanitarie in Africa incidono nel peggiorare il benessere psicologico delle persone, l’indagine mette in luce anche che cosa pensano gli italiani della salute mentale in Africa.
La GenZ si rivela – nell’indagine Ipsos – una generazione particolarmente sensibile al tema della salute mentale. Il 58% del totale degli intervistati ritiene che la salute mentale di chi vive nel Continente africano sia un problema grave. Tale timore sale, appunto, al 62% tra la GenZ. Il 26% del campione non è in grado di esprimersi, soprattutto tra i Baby Boomers (32%).
Sempre secondo l’indagine di Ipsos per Amref, il 54% del campione sostiene che i problemi di salute mentale siano gravi tanto quanto quelli legati alla salute fisica. Poco meno di uno su quattro (23%) sostiene invece che i problemi di salute mentale sono meno importanti di quelli di salute fisica. Circa uno su dieci (13%) pensa invece che siano proprio i problemi di salute mentale a dover essere attenzionati maggiormente, rispetto a quelli fisici.
Agli inizi di settembre, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato un allarme proprio su questo tema: nel mondo sono oltre un miliardo le persone che hanno problemi di salute mentale, su tutte ansia e depressione. Quest’ultime costano all’economia mondiale 1 trilione di dollari Usa, ogni anno. Secondo gli studi dell’Oms i Paesi ad alto reddito spendono fino a 65 dollari pro capite, mentre quelli a basso reddito appena lo 0,04.
I fattori socioeconomici sono indubbiamente una causa del malessere mentale delle persone che abitano il continente africano. A pensarlo – secondo l’indagine di Ipsos per Amref – l’80% del campione, che sale all’84% tra i Baby Boomers. Ancora più incisivi sul malessere mentale degli africani i conflitti, i disastri naturali e le crisi umanitarie. La percentuale di adesione a questa opinione si assesta all’85% arrivando fino al 90% tra i Baby Boomers.
Conflitti e crisi sono consuetudine nel Paese più giovane al mondo, il Sud Sudan. Colpito da una guerra durata 22 anni, che poi ha visto il distacco dall’attuale Sudan e la nascita di un nuovo Paese nel 2011, e da due guerre civili, nel 2013 e 2016. Violenze e insicurezza ne hanno a lungo minato lo sviluppo socioeconomico. Oggi oltre la metà dei suoi circa 12 milioni di cittadini vive al di sotto della soglia di povertà. Qui si registra il quarto tasso di suicidi più elevato del Continente e un quinto della popolazione è afflitto o è a rischio di sviluppare disturbi psicologici o psichiatrici.
“Le conseguenze del conflitto sono ancora evidenti. Abbiamo perso molte proprietà e la notte non si riesce a dormire, tormentati dai pensieri di cosa ancora potrebbe accadere” racconta Paul Monday, leader dei giovani a Mundri, Stato dell’Equatoria Occidentale del Sud Sudan, in un’intervista video. Eva racconta “mia figlia Penina ha dato fuoco alla nostra casa. Era in preda a psicosi. In prigione è stata visitata da un dottore e da lì è iniziata una cura, che oggi la sta aiutando”. Quelle di Paul ed Eva sono solo due delle molte storie raccolte attraverso il progetto M(h)ind..
“In Sud Sudan stiamo lavorando ad un’iniziativa innovativa. La prima iniziativa interamente dedicata all’espansione di servizi di salute mentale a livello comunitario, primario e secondario, pienamente integrata nel sistema sanitario locale, in linea con la visione del Ministero della Sanità del Sud Sudan” racconta così il progetto M(h)ind, la direttrice di Amref Italia, Roberta Rughetti “Per troppo tempo la salute mentale è stata considerata un lusso, soprattutto in Africa. Oggi abbiamo il dovere di trattarla per ciò che è: un diritto e non un privilegio. La salute mentale non può più essere l’ultima tra le priorità della cooperazione sanitaria. Colmare questo divario che lascia senza cura il 75% delle persone nei Paesi a basso reddito è una responsabilità comune e non un’opzione”.
Grazie a Mental Health Integrated Development (Mhind), un progetto pilota volto a sviluppare i servizi di salute mentale in otto dei 79 distretti del Sud Sudan, dal 2022, oltre 15.000 sudsudanesi hanno ricevuto assistenza per la salute mentale. Il progetto – Co-finanziato da Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics) e Stavros Niarchos Foundation (Snf) – vede insieme Amref Health Africa, in collaborazione con il Ministero della Salute del Sud Sudan, Caritas italiana, Caritas South Sudan, BBC Media Action e Who Collaborating Centre for Research and Training in Mental Health and Service Evaluation dell’Università di Verona.
Proprio UniVerona, rappresentata da Michela Nosè, in un’intervista concessa ad Amref afferma “Non si può pensare a sviluppo, pace e benessere se non si affrontano i traumi, lo stress e la sofferenza psicologica di milioni di persone” continua Nosé “Se i risultati di M(h)ind saranno confermati, potranno servire da modello per altri Paesi a basso reddito. Al mondo accademico porteremo dati solidi di efficacia e implementabilità; ai decisori politici, evidenze concrete per includere la salute mentale nei programmi sanitari e di sviluppo”.
Mario Alessandra (Founder & Ceo di Mindwork) afferma “troppo spesso si pensa che la salute mentale sia un privilegio riservato a chi può permetterselo, o un tema secondario per chi vive in contesti di guerra o in condizioni economiche difficili. Siamo con Amref perché crediamo, al contrario, che la salute mentale sia la base senza cui non può esserci rinascita, crescita e prosperità.”
Amref Heath Africa è la più grande organizzazione sanitaria africana senza fini di lucro, fondata a Nairobi nel 1957. In Africa, Amref crea le condizioni per una vita in salute attraverso interventi di assistenza e formazione sanitaria, tutela della salute materno infantile, protezione dell’infanzia, accesso all’acqua e ai servizi igienici ed empowerment delle donne. Ogni anno sono più di 30milioni i beneficiari raggiunti attraverso progetti attivi in 35 Paesi a sud del Sahara.
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