Al Congo al Mali in pochi mesi sono stati realizzati decine di impianti fotovoltaici, soprattutto a servizio delle strutture ospedaliere nelle missioni africane delle Sorelle del Buon Pastore, grazie a moduli di neppure 10 anni di vita provenienti dall’Italia e che per  per le nostre normative da noi vanno comunque smontati e di fatto buttati, non essendo riutilizzabili neppure nelle parti ancora perfettamente funzionanti. Ma attenzione: non si tratta di scarti e tanto meno di carità pelosa, come spiega Silvio Gentile, presidente del consiglio di amministrazione di Green Utility, società romana attiva dal 2007 nel campo del fotovoltaico e delle rinnovabili, che si è fatta promotrice e subito realizzatrice del progetto: ogni modulo fotovoltaico ha un suo codice identificativo che viene associato ad uno solo impianto fotovoltaico incentivato; ne deriva quindi che un modulo o un inverter, altra componente dell’impianto, non può essere smontato da un impianto e reinstallato in un altro, principalmente per evitare furti e truffe. In pratica, come se ogni modulo avesse un numero di targa associato solo a quell’impianto, una targa regolarmente depositata presso la Gse, la società di Stato che gestisce la materia. Quindi, se in un impianto fotovoltaico italiano si presenta la necessità di sostituire circa il 40% dei moduli perché rotti, non più  performanti o magari con problemi documentali di varia natura, bisogna sostituire anche il restante 60% dei moduli che per non presentano problemi e che, come dicevo, non posso reimpiantare altrove in Italia. Per dirla con un esempio molto più pratico: come avessi un servizio di piatti e bicchieri da 12 e dopo qualche anno se ne rompono 4; a distanza di tempo non riesco più a trovare quei 4 uguali e così, per non presentare un servizio bicolore o “spaiato”, sono costretto a buttar via anche gli altri 8 piatti e bicchieri, che per sono ancora buoni e potrei perfettamente mettere sempre a tavola. E c’è ancora un altro passaggio da considerare: negli ultimi anni la tecnologia nel fotovoltaico migliorata di molto e consente di intervenire sugli impianti e fare un ammodernamento tecnologico, disinstallando quindi i moduli del 2012 mal funzionanti per eventualmente sostituire solo quei… piatti e bicchieri che si sono rotti; ma tutto resta vano perché la normativa italiana, che nel frattempo non si è ancora adeguata, di fatto lo impedisce: ed ecco allora – torna a spiegare Gentile, entrando nel vivo del progetto solidale – che ho deciso di combinare la mia attività di impresa, da sempre convinta che la sostenibilità sia un asset chiave, con quella di un coinvolgimento non profit che peraltro anche personale, visto che faccio parte del board di una Fondazione che combatte la povertà nel mondo e collegata alla congregazione delle suore cattoliche del Buon Pastore, un Ordine religioso che porta avanti tante attività in maniera anche manageriale ma con un’attenzione costante allo sviluppo sostenibile. Mi sono detto: mandiamo lì quei moduli, tanto più che un prodotto italiano, anche se usato ma ancora perfettamente funzionante, vale molto di pi  di uno nuovo destinato al mercato africano, che peraltro a quei Paesi viene venduto a cifre altissime. Un pò come accade per alcuni prodotti elettromedicali: nei Paesi in via di sviluppo vengono venduti quelli che da noi invece sarebbero obsoleti, fuori mercato. Tornando al fotovoltaico, quello che abbiamo iniziato a realizzare, insieme per l’appunto alle suore ed eventualmente alle Ong che si sono già  mostrate interessate al discorso, un esempio di economia circolare che può avere ritorni in termini di autentica sostenibilità. E’ chiaro, ma ci tengo a ribadirlo, che a muoverci è uno spirito umanitario, senza alcun ritorno. Tanto più che, così facendo, andiamo a rompere le classiche uova nel paniere a quei soggetti interessati a vendere moduli fotovoltaici in Africa, perché se arrivo io dall’Italia e dico: “Guarda che te li regalo perché sono usati ma ancora perfettamente funzionanti”, vado a mettere i bastoni tra le ruote ad una filiera di fornitori organizzati sul posto per piazzare impianti che, ripeto, vengono prodotti in altri continenti e venduti a peso d’oro in quello africano. Certo, in questo discorso benefico qualche aiuto non guasterebbe, ma non di tipo finanziario, perché ci facciamo carico noi di questo aspetto, ma organizzativo. Qui Gentile introduce anche la collaborazione con l’associazione degli ingegneri africani, formata da giovani che sono venuti a studiare e oggi lavorano in Italia e che dedicano a loro volta tempo e risorse professionali a progetti per la loro terra.  Per  hanno mezzi ridotti e quindi sono felicissimi se li aiutiamo. E noi possiamo trarne beneficio, perché ad esempio un ingegnere originario dell’Uganda sa come muoversi lì quando si tratta di realizzare un impianto, dai trasportatori agli elettricista sa dove cercare e cosa fare io. La Green Utility, con i suoi 30 professionisti a formare una delle realtà più solide e longeve in quel settore fotovoltaico che invece ha visto molti soggetti sparire dopo il boom iniziale, ha presentato il suo progetto nelle settimane scorse a Codeway Digital Edition 2021, l’anteprima digitale della rassegna sulla cooperazione internazionale, tra le poche al mondo in questo settore, che Fiera di Roma conta di ospitare finalmente in presenza dal 18 al 20 maggio prossimi, con un’apertura ancora maggiore a quelle aziende del profit intenzionate per l’appunto ad investire anche nel sociale. Silvio Gentile RIPRODUZIONE RISERVATA